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THE NEW FLESH

Mirko Daneluzzo

THE THING. 1982, John Carpenter.

“Man is the warmest place to hide.”

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Il film di Carpenter si ricongiunge al testo di John W. Campbell, omaggiando in qualche frammento il film “The Thing from Another World” di Christian Nyny e Howard Hawks del 1951. Nel racconto originale, la creatura aliena al centro degli avvenimenti, ha la capacità di cambiare forma: “shape-shifting” viene detto, anche se io personalmente lo definirei “form-shifting” proprio perché la mutazione avviene a livello molecolare, avviene dall’interno. Non si tratta soltanto di qualcosa di esterno, di superficie. Probabilmente l’intento era quello di descrivere qualcosa che cambia in superficie e confonde proprio perché non abbiamo gli strumenti per un’indagine ad occhio nudo, più accurata che quella di guardare la superficie stessa.
La “cosa” è indefinibile, è una continua metamorfosi della realtà che alimenta la paranoia dei protagonisti, che si trovano di fronte alla confusione tra l’umano e l’alieno, tra il reale e la “finzione”, o meglio tra la nostra realtà e l’altra realtà.
Carpenter è abile nel configurare quelle atmosfere, quelle situazioni di tensione caricate dall’ossessione del contagio rafforzata da un contesto che non permette fuga, che costringe il gruppo ormai a condividere lo stesso unico spazio disponibile.
L’entità sconosciuta e mimetica, isola i personaggi che si trovano a fronteggiare una pesante solitudine proprio perché il mostro, è colui che è accanto a te! Tutto ciò costruisce la forte metafora di una società senza identità e senza fiducia nel prossimo, dove nessuno ha più una responsabilità ne confronti di nessun altro. Il conflitto sociale sulla disgregazione dell’umanità, sulla disgregazione di ciò che ci rende umani, non si limita ad uno stato mentale, paranoico, ma infetta i corpi dall’interno, questo virus diventa corpo: la creatura avvolge, penetra, invade, deforma, lacera, muta se stessa in quella che è una mera rappresentazione del corpo, che in alcuni momenti diventa grottesca e surreale evocando quei paesaggi sciolti che animavano le visioni di Dalí.

“One of the reasons that I’m keeping photos of the Thing secret, is because … of the nature of the Thing, it’s really impossible to photograph it, because it’s never anyone thing in anyone time, it’s constantly changing, so it has no original form, therefore there is no way to present it, so I don’t want anybody take pictures.” J. Carpenter

Tante forme, nessuna forma.
Un incessante in-divenire, che non permette di immaginarla e identificarla se non con il tutto. In-forme come ogni forma che è sul punto di cambiare, che è già un’altra forma, in cui il tempo della mutazione è determinante per creare quella sensazione di spaesamento nell’osservatore: non c’è stabilità che si preserva, che si prolunga, e questo non permette di dare un nome. In questo film più di altri *1, la creatura non si può chiamare. Il riconoscimento implica stabilità, implica definizione, questa creatura è indefinita, è instabile.

“Since the Thing has been all over the galaxy, it could call upon anything it needed whenever it needed it”.
Rob Bottin

L’idea di Rob Bottin di una creatura che assorbe tutte le forme di vita che potrebbe aver incontrato nei suoi viaggi extraterrestri, si può descrivere solo con il tempo. Carpenter infatti, suggerisce a Bottin di rappresentare la “cosa” mediante lo storyboard, proprio per la sua natura essa non si può disegnare in un’unica scena o forma, ma si sviluppa nella dimensione temporale.
Una mutazione che riassume nel presente tutte le forme del passato *2, perdendo quella che è la forma originale, ammesso che ve ne sia una. La forma originale, non importa, non interessa. La forma di questa “creatura”, può quasi essere ridotta all’idea di comando *3: Assorbi! Imita! Muta! Questa è la forma della “cosa”, questa è la sua capacità, questo è il codice di azione, la prima semplice riga di programmazione che le permette di adattarsi a diverse situazioni e contesti, attingendo al catalogo di configurazioni sondate grazie ai suoi incontri.
La creatura fagocita la vittima, la digerisce, e la replica. L’uso della digestione è un interessante stratagemma che ci permette di meditare sulla nostra esperienza diretta di “divoratori”. Per l’essere si tratta di uno strumento di decomposizione e assorbimento al fine di arrivare alla forma della vittima stessa, a meno che il processo non sia interrotto, provocando un’esplosione di carni torte, viscide…, e ovviamente sangue, tutto che si muove velocemente, sovrapponendo infiniti livelli di esistenza, dal muso dei cani che esplodono in un gigante fiore dotato di denti canini, fino alla testa che si dota di zampe o allo stomaco che si trasforma in un’immensa bocca, ovviamente dentata.
La digestione dicevo, strumento efficace di incorporazione.
La mutazione è virulenta, avviene in modo violento ed eruttivo (dall’interno). Violento perché i corpi mutati sono solo rappresentazioni pronte ad essere sciolte, distorte, messe in trazione fino alla lacerazione che fa emergere l’interno estremamente attivo, perforante, sempre però dall’interno verso l’esterno. Non esiste una chiara struttura e gerarchia delle parti (ossa, muscoli, pelle…), esiste coesione pronta alla riconfigurazione, è proprio il passaggio tra la nuova struttura e la successiva, un passaggio che delinea nuove relazioni tra la forma esterna in fase imitativa e la struttura interna.

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Di nostro interesse possiamo quindi ricordare tre temi principali nel film di Carpenter:
– la mutazione continua;
– l’assenza dell’origine e l’idea di manipolare “copie di copie”;
– la vera forma è il comando!

THE FLY. 1986, David Cronenberg.

“I computer sanno solo quello che gli dici. Sarò io ignorante sulla carne… dovrò imparare.”

Sessualità, trasformazione, invecchiamento, morte: “La Mosca” è un melodramma biologico senza lieto fine.
Nel film di Cronenberg siamo osservatori di un esperimento scientifico, consumato letteralmente in luoghi sporchi , consunti, vissuti: tutto questo fa parte della messa in scena della fusione genetica che porta alla metamorfosi di un uomo in insetto gigante, elaborando la paura e la fascinazione dell’infezione, della trasformazione e della mutazione della mente-corpo attraverso l’azione di una malattia degenerativa che deforma la carne.
La metamorfosi Cronenberghiana, al contrario di quella Carpenteriana è lenta, graduale, espressa in diverse fasi: inizia idealmente da un buco nella pelle, quasi a definire un ingresso visibile, poi dall’interno si rivolta per uscire all’esterno, trasformando il protagonista non in una mosca, ma in qualcos’altro, qualcosa di diverso da lui e diverso dalla mosca.
All’inizio, il nuovo stato si manifesta con aspetti positivi: Seth Brundle si scopre potenziato nelle capacità fisiche ed è sicuro di se, fino a quando si rende conto di non aver controllo sulla mutazione e si ritrova adepto inconsapevole di una pratica olistica (fisica e mentale) che da vita ad una nuova specie, superando il concetto di sessualità, necessaria alla procreazione: un’inscindibile unione molecolare, per cui la risultante non equivale alla mera somma delle parti.*4
In questo nuovo stato, la creatura si trova incapace di entrare in empatia con gli altri, non riuscendo più a rispecchiarsi nell’altro.

“In tutta la mia opera ricorre il tema della mutazione. Che è poi il tema dell’identità, della sua fragilità. All’inizio di quasi tutti i miei film i personaggi danno l’impressione di aver fiducia in se stessi, di saper dove stanno andando. C’è in essi una sorta di arroganza: credono che il futuro sarà esattamente come essi hanno previsto. Ognuno di noi, del resto, ha questa forma di arroganza. Ma quando interviene l’imprevisto, l’idea che noi avevamo della realtà si rivela diversa dalla realtà stessa, ed ecco il caos, il disastro. Allora il nostro senso della stabilità vacilla, assieme alla nostra fiducia in essa.
Come in ‘il pasto nudo’, io cerco sempre di mostrare quel momento unico e bloccato in cui ciascuno vede ciò che è sulla punta della sua forchetta: cioè quel momento in cui ci si rende conto che la realtà non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le altre possibilità.”*5

L’elemento propulsore della mutazione è il “trasbordo”: l’esperimento, che nasce come una ricerca di spostamento di un corpo nello spazio, diventa un’esperienza di spostamento del corpo in se stesso, un dramma sull’identità di corpi distinti che condividono lo stesso spazio.
La pratica del tele-trasporto si rifà all’idea che se si possono trasmettere le immagini (televisive), estendendo il principio alla materia. Il trasporto è un tema molto importante proprio ai fini della mutazione, o dell’evoluzione se vogliamo.
La macchina ha però dei limiti: Brundle ci ricorda che “I computer sanno solo quello che gli dici” e riconoscendo la sua ignoranza sulla carne, dichiara anzitutto la necessità di impararne “la poesia” e ciò avviene grazie all’unione fisica con Veronica. Una volta compresi questi segreti, dovrà insegnarli al computer, che è infatti incapace di “leggere” e quindi “tradurre” gli organismi viventi per tele-trasportarli. Quando infatti assaggia la carne trasbordata, c’è qualcosa di anomalo, qualcosa di diverso, e riconosce che il computer ha fornito una sorta di interpretazione proprio perché non conosce il linguaggio della carne, e quindi la interpreta piuttosto che riprodurla e ovviamente, qualcosa va perduto in questa interpretazione. L’idea di trasporto ci permette di parlare dell’informazione nei termini in cui non c’è una corrispondenza uno a uno tra la rappresentazione fisica e l’informazione (nella sua rappresentazione). In altre parole, posso prendere una rappresentazione fisica e trasformarla in informazione ma non è ovvio come tornare dall’informazione alla rappresentazione, o meglio, non è univoco, l’informazione potrebbe avere altre manifestazioni. I lavori di Yoshi Sodeoka, sviluppano proprio questo tema.*6

Torniamo sulla frase di apertura. Nel film il computer funziona con il riconoscimento vocale, si enfatizza l’influenza del “dire” e quindi del linguaggio, nella questione del malinteso tra uomo e macchina. Il linguaggio è legato ad una configurazione fisico-metale specifica di Seth Brundle, che mutando, lo esclude da nuove interazioni con il computer.
L’errore, se così possiamo dire, sta nel fatto di affidarsi ad una forma di comunicazione insufficiente e vetusta, imprecisa e inadatta alla sua evoluzione corporea, teoria vicina alla condanna sferrata da William Burroughs, in cui si afferma che l’uomo, per essere libero, deve debellare dal suo corpo il virus del linguaggio.
Per rendere superflua qualsiasi “traduzione” tra “realtà” e rappresentazione, la soluzione che viene proposta è la fusione tra i corpi: come nell’idea di fusione tra arte e scienza, tra significato e significante, Brundlefly intende fondersi con l’amata (bambino incluso). Se lui fosse stato fuso con la sua macchina (con la quale si interfacciava appunto con il linguaggio) non ci sarebbe stato fraintendimento e la mutazione involontaria non sarebbe avvenuta.

“You’re afraid to dive into the plasma pool aren’t you? You’re afraid to be destroyed and re created, aren’t you? I’ll bet you think that you woke me up about the flesh, don’t you? But you only know society’s straight line about the flesh! You can’t penetrate beyond society’s sick, grey fear of the flesh! Drink deep or taste not the plasma spring, see what I’m saying? Now, I’m not just talking about sex and penetration, I’m talking about penetration beyond the veil of the flesh! A deep, penetrating dive into the plasma pool!”
Seth Brundle

La carne in Cronenberg si ammala, muta, degenera, invecchia oscenamente, ma non può essere tele-trasportata, il trasporto innesca la mutazione: non si tratta di cambiare la rappresentazione dei corpi, ma di cambiare i corpi stessi.
La metamorfosi si manifesta con i sintomi di una patologia grave, di una involuzione senescente, quasi a dichiarare l’equivalenza tra malattia e vecchiaia. Secondo Bergson ciò che è vitale nell’invecchiamento è la continuità inavvertibile, infinitamente divisibile, del cambiamento di una forma. (*7)
Noi tutti diciamo che un corpo “cresce” o “invecchia” osservando la sua forma esterna, per Cronenberg, questa è solo un semplice effetto delle forze che spingono al suo interno, la forma non è il corpo, ma l’espressione del cambiamento, la forma è il suo invecchiamento.

“Mi interessano molto i documentari sull’interno dei corpi. Mi sembra strano che quando si apre un corpo umano per la maggior parte delle persone sia ripugnante. Perché? Siete voi, sono io!…Abbiamo bisogno di una nuova estetica per l’interno dei corpi…Non siamo ancora capaci di accettarci nella nostra globalità” (*8)

Non c’è una visione catastrofista o nichilista nel cinema di C., semplicemente, la realtà è in continua mutazione, e ciò che allo stato attuale delle cose rappresenta una catastrofe si rivela invece essere l’inizio di qualcosa di diverso, non necessariamente migliore né peggiore.

Dal film di Cronenberg possiamo estrapolare quattro idee interessanti:
– la mutazione non è riducibile alla somma dei propri componenti;
– il linguaggio e quindi l’incomprensione possono essere strumenti per generare vie esplorative alternative. Andando oltre la visione Cronenberg-Burroughs, possiamo accettare l’errore come sistema in grado di sondare situazioni non previste, permettendoci di lavorare con l’ignoto;
– l’idea del trasporto, del passaggio di informazioni come sistema interpretativo;
– la forma come espressione di invecchiamento.

TETSUO. 1989, Shinya Tsukamoto.

“Presto il tuo corpo diventerà metallo. Ti faccio un regalo, una cosa molto divertente, un mondo nuovo.“

Nel film di Tsukamoto “forma” e “contenuto” coincidono: si parla di “mutazione”, ma è esso stesso “mutazione”, “infezione” di stili ed influenze mescolate nell’intimo della materia: da Lynch a Cronenberg, ai manga giapponesi, ai montaggi da video-clip, tutto mescolato a ritmi altissimi, che si susseguono industrialmente (quasi all’infinito), senza una trama, è un moto perpetuo, un bombardamento di sequenze che rende impossibile stabilire i confini delle diverse influenze: tutte compongono il nuovo prodotto Tetsuo, che trasforma la visione in un’esperienza (se si sopravvive) di contagio.

Nel film vengono rappresentate le ossessioni di fine millennio come la genetica, l’oppressione tecnologica e la perdita dell’identità individuale. Queste componenti si fondono assieme in un cambiamento fisico e mentale che porta i protagonisti al richiamo di una missione da compiere: trasformare il mondo intero.

Tsukamoto descrive la mutazione di un disciplinato, impiegato di Tokio, uno come molti che si conforma alle leggi del tempo delle macchine. È la storia di un corpo, umano, inadeguato alle leggi di questa società, un corpo umano, usato in modo disumano, che quindi chiede di cambiare, chiede di mutare in un’altra forma più consona all’ambiente in cui vive.
È quindi un film sulla crisi postmoderna dell’identità individuale e sulla progressiva occupazione degli spazi umani da parte dei meccanismi spersonalizzanti figli dell’industria. Viene rappresentato questo rapporto succube (feticista) che l’uomo ha con la tecnica, il peccato e la punizione.
Tsukamoto spara in faccia allo spettatore questa realtà epilettica e disumanizzante in cui il corpo umano diventa terreno ideale per l’azione predatoria del metallo sulla carne, dell’artificiale sul naturale, della macchina sulla persona. Il feticista è colui il quale inizia la profanazione del corpo, incidendo la propria gamba per poi ammirare, assaporare il tubo di ferro. Il fatto di portarlo alla bocca è un atto di sentire con il gusto. Quando da bambini sondiamo il mondo che ci circonda, mettiamo in bocca qualunque cosa, proprio per scoprirla. Portare alla bocca e mordere, precede la digestione, l’assorbimento dunque, l’incorporazione.

Questa passione rappresenta una sorta di rinascita, l’avvento di una carne rinnovata, non fatta di sangue e tessuti , ma di escrescenze meccaniche: “welcome to the new world” è la scritta che vede sul cofano dell’auto che lo investe, generando quasi, con questo ulteriore atto di violenza, l’impatto generativo, l’azione di propagazione, il big bang della contaminazione, proprio perché Tetsuo, l’autista nell’investimento, si ritroverà il mattino seguente, appestato di resti metallici.
L’ecologia di Tetsuo non è di tipo naturale-naturale, è un’ecologia ferrosa che si incrosta, si salda, in una metamorfosi inorganica di tubi, fili intrecciati, placche in un coagulo ferroso che secondo la sensibilità di William Beatson*9 lascerebbe presumere un’abbondanza di informazione che rompe la simmetria bilaterale, per ottenere escrescenze amorfe: organi lamarckiani*10 per una Passione di metallo come apice dell’epoca post-industriale.
L’atto sessuale, che dovrebbe essere lo stimolo per eccellenza della carne, viene usato contro di essa, per sconfiggerla definitivamente quando Tetsuo subisce passivamente la penetrazione e quando invece, la usa attivamente uccidendo la compagna.
Tetsuo e il feticista si uniscono infine, in un unico nuovo corpo, in cui l’umano è svuotato da ogni significato, in cui l’antico corpo ha trovato una nuova sede, una nuova conformazione ideale al mondo contemporaneo: un nuovo corpo per proteggersi dalle sfide della società, dall’avanzata dell’industria, del cemento e dal loro carico di spersonalizzazione. Quando Tetsuo afferma di sentirsi bene, con una smorfia di dolore, mostra appunto l’inadeguatezza della vecchia forma nel definire la realtà del New World. Si tratta dunque di una risurrezione, l’incubo non è la mutazione ma era proprio lo stato precedente al processo di trasformazione, che quindi lo ha reso necessario. L’incubo era l’umanità sfruttata, le vite lacerate, la città disumanizzante, il tessuto urbano in decomposizione ma pur sempre originariamente pensato e costruito a misura d’uomo. La metamorfosi del corpo dell’uomo-macchina diventa parte del disfacimento del corpo-città.
Tsukamoto ci avverte che stiamo facendo troppo affidamento alla tecnologia, a queste estensioni meccaniche, ai nuovi media, e che la contaminazione del metallo con la nostra carne è già iniziata e noi non ce ne siamo accorti.
I nostri corpi assorbono tutto ciò che viene vissuto, tutte le onde in cui siamo immersi, tutti gli additivi che assumiamo con il cibo, e tutto ci trasforma.
Si solleva il dubbio su cosa sia naturale e cosa non lo sia.

“Fino all’età di trent’anni, mi sono sentito protetto dalla città, un po’ come se fosse mia madre, una città sorella con cui, appunto, ero cresciuto. Avevo invece paura della campagna in cui vivevano i miei nonni, dove tutto era oscuro. Così, a ogni mio ritorno a Tokyo, mi risollevavo all’odore del gas dei tubi di scappamento. Sì, avevo paura della natura. Dopo i trent’anni però, ho cominciato a considerare Tokyo sotto una luce differente: un crocevia per gente giunta da ogni direzione, con nient’altro che cemento. Allora trascorrevo la maggior parte del tempo in casa: lavoravo per lo più con il fax o nei paraggi della mia abitazione e il mondo mi giungeva attraverso i notiziari tv o dai giornali. In pratica vivevo con la sola mente, quasi senza utilizzare il corpo. Di qui l’immagine della città che si restringe e al suo interno gli esseri umani, ormai inscatolati in stanze esigue, che operano solo attraverso i computer. Il cervello va ingigantendosi man mano che il corpo si riduce. Tetsuo nasce da questa immagine terribile: corpi ormai ridotti al solo cervello e una città sempre più forte. L’uomo si rende conto di dover lottare contro di essa, utilizzando il proprio corpo, e fa in modo che la carne si trasformi parzialmente in ferro, per affrontare ad armi pari il suo avversario, per sferrare un pugno alla città. Il messaggio è quindi di speranza: che la città venga distrutta non da guerre o da ordigni meccanici, ma dal corpo degli esseri umani.”
S.Tsukamoto *11

APPUNTI SULLA MUTAZIONE E LA CULTURA DEL PROGETTO.
Vorrei terminare questa parte con due piccole suggestioni sul modo di considerare la mutazione nel design.

La prima e più ovvia, riguarda l’uso della mutazione nell’indagine formale del prodotto, mettendola in relazione con i concetti di variazione e selezione.
La mutazione è sempre legata all’idea di forma e quindi al concetto di espressione dell’equilibrio tra le dinamiche interne ed esterne di un corpo. L’ “errore” può diventare uno strumento interessante di indagine proprio di queste dinamiche, al fine di sondare terreni formali incontaminati, attraverso la teoria dell’esploratore*12 per sistemi emergenti.

La seconda suggestione riguarda il mondo della produzione. Oggi siamo nel mezzo della riproggettazione open-source del mondo. La semplificazione e diffusione di tecnologie e la condivisione del sapere, disegna un futuro in cui avremmo la possibilità di produrre on demand, di cambiare quindi, l’assetto industriale contemporaneo attraverso vie più sostenibili.
Immaginiamo uno scenario: dobbiamo comprare un cellulare. Andiamo in Internet, scegliamo l’elettronica, scarichiamo il software e andiamo ad esplorare in alcuni database il design di alcuni modelli. Ci piace quello disegnato da una ragazza di New Delhi. Via software, i componenti scelti si adattano dinamicamente l’uno all’altro, una volta che abbiamo il nostro cellulare virtuale, lo personalizziamo, in svariati modi che vanno oltre alla semplice scelta del colore. insomma creiamo un ibrido, un mutante.

 

NOTE

1 Nella narrativa Horror molti sono gli esempi in cui le creature vengono indicate con i pronomi personali “esso”, “lui”.
N. Carroll, “The philosophy of horror, or paradoxes of the heart”, 1989.
2 Henri Bergson nel “Saggio sui dati immediati della coscienza” effettua una ricerca sul tempo: si propone un’indagine sui dati immediati della coscienza, depurati da tutto ciò a loro sovrapposto.
Con “immediatezza dei dati della coscienza” sottolinea come spesso interpretiamo anche l’interiorità in termini spaziali, sovrapponendo il concetto di tempo (espressione pura dell’intimo) con quello di spazio. A causa della nostra continua interrelazione con il mondo esterno, spaziale, abbiamo contaminato quello interno, temporale. Per Bergson lo spazio è qualcosa di suddivisibile, si può dividere in parti, come fa la scienza nelle sue indagini, e la scienza opera nel mondo esterno. Bergson trova delle immagini per descrivere queste dinamiche.
L’immagine del gomitolo: cresce i gomitolo e, man mano che cresce, c’è un nuovo filo che si aggiunge, senza che il precedente sparisca, resta racchiuso dal filo che si aggiunge e il gomitolo nella sua interezza non potrebbe esistere senza il filo racchiuso in precedenza. La memoria, la coscienza e il tempo autentico assomigliano al gomitolo poiché nel tempo reale non vi è nulla che si perda mai veramente. La parola “durata” suggerisce ovviamente il concetto di tempo, ma anche l’idea del permanere. Della coincidenza: “con-crescono” senza perdere le parti iniziali.
H. Bergson, “Essais sur les données immédiates de la conscience” 1889, tr. N. Ciusa, “Saggio sui dati immediati della coscienza”, SEI, Torino 1954.
3 Il comando è il principio, l’inizio. Comando e origine coincidono. Anche nella religione Cristiana, Dio comandò per creare la Terra. Dio disse: “Sia la luce!”. Il comando è sempre imperativo, è un’azione prepotente, di forza. I codici, genetico , informatico,… sono composti da verbi coniugati all’imperativo, sono comandi, sono istruzioni chiare, senza ambiguità, sono minime, sono il necessario, nulla di più.
4 Dire che un oggetto non è meramente la somma delle sue parti, significa che il risultato del sistema sarà una configurazioni inedita rispetto le sue parti, avrà proprietà diverse.
Un esempio è quando due molecole interagiscono chimicamente, come idrogeno e ossigeno per generare acqua: l’acqua ha proprietà che non sono possedute dalle sue singole componenti, idrogeno ed ossigeno sono gas a temperatura ambiente, mentre l’acqua è liquida. Inoltre l’acqua ha capacità distinte da quelle delle sue parti: aggiungi ossigeno al fuoco e la fiamma aumenterà, l’acqua invece lo estingue.
5 G. Canova, “David Cronenberg”, Il Castoro Cinema, Milano, 1994, pp. 7-8.
6 Ascii Rock 2003, Ascii Bush 2004, Yoshi Sodeoka.
7 H. Bergson, “L’Évolution créatrice” 1907, tr. Fabio Polidori, Raffaello Cortina, Milano 2002.
8 C. Tesson , D. Cronenberg, “Les yeux plus gros que le ventre”, intervista su Cahiers du cinéma 391, 1987.
9 L’intuizione di William Bateson fu che una perdita di informazioni conduce verso la simmetria, che quindi, non è vista come principio fondamentale dell’ordine “del tutto”. Gregory Bateson eredita dal padre questi concetti e li perfeziona definendo l’informazione come “la differenza che fa la differenza”.
G. Bateson, “Steps to an Ecology of Mind: Collected Essays in Anthropology, Psychiatry, Evolution, and Epistemology”, University Of Chicago ,1972 tr. “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi, 1977.
10 Secondo Lamarck, le specie avevano con il tempo sviluppato gli organi del loro corpo che permettevano di sopravvivere e di adattarsi all’ambiente, ad esempio: in un primo momento, secondo Lamarck, sarebbero esistite solo giraffe con il collo corto; queste ultime, per lo sforzo fatto per arrivare ai rami più alti, sarebbero poi riuscite a sviluppare collo e zampe anteriori e quindi ad avere organi adatti alle circostanze. La teoria evoluzionista successiva ha abbandonato la teoria lamarckiana.
11 Intervista di Maria Roberta Novielli con Shin’ya Tsukamoto, Venezia 1997
http://asiamedia.unive.it/www/content/il-ritorno-dei-mutanti
12 La scoperta della fattore di crescita del nervo, spetta a Rita Levi Montalcini: le cellule nervose crescono in tutte le direzioni, quelle che crescono dove non c’è destinazione si fermeranno dopo un po’, mentre quelli che vanno nella giusta strada, si stabilizzano e sopravvivono.

approfondimenti:

Corpo e immaginario contemporaneo
http://www.mirkoshandgrip.it/nomadthought/?p=72
Sul corpo
http://www.mirkoshandgrip.it/nomadthought/?p=12
Corporazione
http://www.mirkoshandgrip.it/nomadthought/?p=71
Mestare
http://www.mirkoshandgrip.it/nomadthought/?p=73

BIBLIOGRAFIA

K. Muir, “The films of John Carpenter”, McFarland, 2000
A. Moscariello, “Fantascienza”, 2006
S. Prince, “Dread, Taboo and The Thing: toward a social theory of the horror film”, Wide Angle, 1988
M. Canosa, La bellezza interiore. Il cinema di David Cronenberg, Le Mani, Genova, 1995

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